Con il termine burden del caregiver si intende una particolare risposta allo stress cronico che viene percepito dai caregiver e dovuto alle loro azioni di cura nei confronti di familiari ammalati. Il burden del caregiver è una sindrome con manifestazioni psicofisiche simili al burnout, con una sensazione crescente di stanchezza e di esaurimento emotivo, che può portare ad un calo delle difese immunitarie, allo sviluppo di sintomi psichici come ansia e depressione, e con problematiche varie come disturbi del sonno, disturbi gastro-intestinali e un generale peggioramento della qualità di vita. Per affrontare efficacemente il burden del caregiver può essere necessario un intervento professionale mirato.
Il termine anglosassone caregiver significa “colui che si prende cura”. Questa figura si riferisce a chi assiste una persona in condizioni di necessità o non completa autosufficienza, come malati, persone con disabilità, bambini piccoli o anziani.
Molti caregiver offrono assistenza volontariamente e a titolo gratuito. Sebbene sia un gesto di amore e dedizione, questo ruolo comporta responsabilità, preoccupazioni e incombenze significative, che possono emergere in modo improvviso o graduale con l’aggravarsi della condizione della persona cara.
Spesso, il caregiver non è preparato tecnicamente o psicologicamente per il ruolo. La mancanza di supporto da parte di altre figure o risorse economiche per delegare la cura può far percepire questa responsabilità come obbligatoria.
Il caregiver non ha ferie stabilite né giorni di malattia. Anche durante una vacanza, la reperibilità rimane totale, rendendo impossibile “cambiare lavoro” o prendersi pause reali. Lo stress e le rinunce personali, incluse occasioni di svago e socialità, sono spesso inevitabili.
Lo stress, in sé, è una reazione normale e utile in situazioni che richiedono energia e concentrazione. Tuttavia, quando diventa cronico o eccessivo, può consumare le risorse psicologiche ed energetiche della persona, portando a un deterioramento del benessere psicofisico. Riconoscere e gestire questi segnali è fondamentale per prevenire conseguenze negative a lungo termine.
In relazione a situazioni croniche e degenerative, come nel caso di pazienti affetti da demenza, questo insieme di responsabilità può trasformarsi in un fardello che affatica e mette a dura prova il benessere psicofisico del caregiver. Inoltre, spesso il caregiver si trova da solo e ha poco supporto da altre persone con cui condividere queste incombenze. Si parla proprio di burden del caregiver, dall’inglese “fardello” o “peso”, per definire un insieme di condizioni che gravano sul caregiver e che creano disagio e sofferenza.
Il burden del caregiver è essenzialmente una forma di stress, che tende a cronicizzarsi quanto più si prolunga la situazione di accudimento, e si manifesta nelle forme più disparate e soggettive.
I principali sintomi sperimentati dal caregiver quando questa condizione di stress persiste per molto tempo sono:
Spesso il caregiver può sentirsi ipercoinvolto, percependo una responsabilità non delegabile. Questa condizione può portare a sentimenti di colpa per eventuali criticità o peggioramenti del familiare assistito. L’intensità dei sintomi può essere tale da spingere il caregiver a richiedere lui stesso cure mediche per affrontare la situazione.
L’assistenza fornita da un caregiver per persone anziane affette da forme di demenza è particolarmente pesante. Non sono rari i casi di burn-out nei familiari che si prendono cura di questa tipologia di pazienti. Rispetto ad altre malattie, le demenze presentano sintomi comportamentali e psichici che risultano molto stressanti per i caregiver.
Ad esempio, i pazienti possono vagare senza meta, perdendosi e mettendo in allarme i familiari. Questo comportamento, noto come “wandering”, provoca elevati livelli di stress nei caregiver, che possono essere chiamati a qualsiasi ora da servizi sanitari, come il pronto soccorso, per recuperare l’ammalato che si è perso nel quartiere.
Altri sintomi, come la perdita di memoria (ad esempio, un genitore che non riconosce più i propri figli) o episodi di aggressività (ad esempio, reazioni violente durante l’igiene personale), rendono ancora più complesso il compito del caregiver, favorendo l’insorgenza di burn-out.
In queste situazioni, il caregiver diventa una “vittima secondaria” della malattia, che gli sta lentamente portando via una persona cara. La letteratura scientifica concorda sul fatto che il burden non solo danneggia la salute fisica e psicologica del caregiver, ma compromette anche la sua capacità di accudimento. Questo genera un circolo vizioso: lo stato di salute del caregiver peggiora, riducendo la capacità di assistenza, il che aggrava le condizioni del paziente, amplificando il disagio del caregiver e perpetuando il ciclo negativo.
Riconoscere tempestivamente i segnali di stress eccessivo è fondamentale per interrompere questo circolo vizioso, proteggendo sia il caregiver che il paziente.
L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) appartiene alle terapie cognitive-comportamentali di terza generazione. Questa metodologia aiuta le persone a integrare i vissuti emotivi difficili nella propria vita quotidiana. Spesso i caregiver sotto stress cercano di reprimere o ignorare le emozioni negative. Tuttavia, questa strategia, nel lungo periodo, può diventare essa stessa una fonte di logoramento.
Soffermiamoci su alcune domande: quanto ci costa, in termini di energia, cercare di evitare certe emozioni? Quanto ci affatica questa battaglia? E cosa sacrifichiamo per non sentire il dolore? L’ACT propone un cambio di prospettiva: smettere di combattere contro le emozioni sgradevoli e imparare ad accoglierle, anche quando sono difficili, per ritrovare energia e connessione con il proprio mondo emotivo.
L’ACT distingue tra dolore pulito e dolore sporco. Il dolore pulito è la sofferenza inevitabile che deriva dagli eventi della vita, come malattie, perdite e lutti. Tutti noi affrontiamo difficoltà più o meno gravi: questa è la natura della vita.
Il dolore sporco, invece, nasce dai tentativi di evitare le emozioni sgradevoli. Ogni strategia per non sentire il dolore non lo elimina, ma lo rimanda. Nel tempo, il dolore evitato si somma al dolore iniziale, creando un carico emotivo ancora più pesante. Per esempio, riempiamo le giornate di impegni per non pensare, trascurando relazioni importanti, o ignoriamo i nostri bisogni, perdendo la capacità di rilassarci e prenderci cura di noi stessi.
La strada per migliorare il benessere dei caregiver non passa attraverso l’evitamento delle emozioni difficili, ma attraverso la loro accettazione. Ecco come l’ACT può supportare i caregiver:
Riconoscere e accettare il proprio vissuto emotivo è un passo cruciale per interrompere il circolo dello stress cronico e costruire un equilibrio tra le esigenze della cura e il proprio benessere personale.
A cura della dott.ssa Prasanna Orler – psicologa e psicoterapeuta
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