In questa puntata di MindSet, ai microfoni di Alberto Grossi, la dott.ssa Sonia Spotti, medico psichiatra presso l’Ospedale Maria Luigia. Tema della puntata: la depressione. Un disturbo molto diffuso anche se spesso misconosciuto e non trattato. Buon ascolto!
La depressione è una malattia che colpisce l’umore. Umore che si fa triste e malinconico e che si accompagna ad una sensazione di inadeguatezza e inutilità. Sensazione che si mantiene anche quando vengono svolte attività piacevoli.
Molto spesso oltre al vissuto di tristezza è presente una importante componente ansiosa, con la presenza di inquietudine e tensione, accompagnata dalla sensazione che tutto sia diventato incredibilmente difficile.
Ad aumentare il carico di sofferenza può manifestarsi quello che è definito il “sentimento della mancanza di sentimento”. Chi soffre di un disturbo depressivo può infatti avere la sensazione di non provare più amore e affetto nei confronti dei propri cari.
A questi problemi si accompagnano inoltre disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, facile affaticabilità e una totale mancanza di progettualità e quindi un pessimismo costante. Tutto è nero! E’ il male oscuro…
Sì ci sono sicuramente delle categorie a rischio. Ad esempio persone che hanno familiari depressi hanno un maggior rischio di sviluppare anche loro il disturbo. Oppure persone che hanno subito perdite e lutti, separazioni o perdita del lavoro e conseguente difficoltà economiche.
Anche l’essere donna è un fattore di rischio per la depressione. Ricordiamo, ad esempio, il Maternity Blues, una condizione di scoraggiamento e depressione che avviene dopo il parto, legata ad un brusco calo di estrogeni e progesterone (da non confondere con la depressione post partum, ndr).
Questo scoraggiamento momentaneo può essere visto anche in ottica psicodinamica, legato quindi all’ assunzione di un nuovo ruolo e di una nuova responsabilità che un nuovo figlio comporta.
Discorso simile può essere fatto anche per la fase periclimaterica dove emergono altri fattori. Ad esempio possiamo osservare la sindrome del “nido vuoto” che è questo stato di depressione e inutilità che una madre percepisce quando i figli si allontano da casa.
E’ fondamentale, perchè gli psicofarmaci non si devono maneggiare con leggerezza. Non si può fare una terapia fai-da-te. Inoltre bisognerebbe sempre rivolgersi allo specialista.
Anche il medico di base può essere d’aiuto, ma lo sguardo di uno psichiatra è più allenato a riconoscere alcune caratteristiche della depressione che sono misconosciute. I farmaci inoltre vanno utilizzati in maniera rigorosa e seguendo la prescrizione medica. I farmaci possono essere antidepressivi o ansiolitici.
Io dico sempre che non esiste tanto la depressione, quanto il paziente depresso. Perché ognuno ha le sue caratteristiche biologiche, individuali, esperienziali, relazionali. La terapia psicofarmacologica della depressione è una terapia sartoriale, cioè tagliata e cucita addosso al paziente.
Si parla proprio di stigma, ossia di un pregiudizio secondo cui la depressione sarebbe una colpa o una vergogna. Molto spesso i pazienti che vedo in ambulatorio mi dicono che preferirebbero avere un tumore piuttosto che la depressione. Perché un tumore lo vedi, lo curi, tutti possono rendersene conto.
La depressione invece è “sine materia”, non ha quindi un correlato somatico. Ha dei penosi vissuti che a volte vengono percepiti anche dai familiari come capricci o mancanza di volontà. Ma è normale che un paziente depresso non riesca a farcela da solo, altrimenti non starebbe male. Credo si debba togliere alla depressione il mantello della vergogna e dello stigma. La depressione può avere le più svariate cause ma è assolutamente curabile. E’ una malattia che deve essere curata.
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