La questione “riservatezza” esiste. Alla domanda se esistano dei rischi per la riservatezza del paziente, 6 operatori su 10 hanno risposto in modo affermativo. Dalle risposte emerge infatti come, all’interno dell’ospedale, i problemi siano pochi e circoscritti, mentre possano manifestarsi al di fuori dell’ospedale o in presenza di famigliari dei pazienti.
Positivo è il giudizio circa l’operato dei capiservizio e dei responsabili in tema di riservatezza: il 61% giudica positivamente l’approccio e il buon esempio dimostrato dai responsabili, mentre il 23% parla di professionisti adeguati e attenti pur non dimostrando pubblicamente un interesse particolare alla privacy.
Alla domanda se quanto attuato dall’ospedale per la riservatezza sia adeguato, un dipendente su due (54%) risponde che l’attenzione è alta, e comunque in linea con quella di altri servizi sanitari, relegando i problemi di mancata riservatezza a rare eccezioni. Il 40% afferma invece che può capitare che qualcosa non funzioni, ammettendo la difficoltà di azzerare completamente la diffusione di informazioni riservate, imputando questa eventualità alla scarsa professionalità del singolo operatore.
Alla domanda se l’ospedale debba modificare il proprio modo di lavorare in presenza di pazienti paganti per prestazioni alberghiere durante l’intero ricovero, la metà dei dipendenti afferma che quanto si fa oggi per gli ospiti è adeguato per tutti. Al tempo stesso il 39% si è detto favorevole a introdurre modifiche purché a beneficiarne siano tutti i pazienti.
Migliorare sì, ma come? Alla domanda su cosa è più efficaci per migliorare l’attenzione sulla riservatezza svetta la richiesta di formazione sugli aspetti legali e deontologici (60%), una richiesta di maggiore attenzione a tutti gli operatori in determinate circostanze (37%) unitamente a una maggiore informazione rivolta a pazienti e familiari sull’importanza della riservatezza, sui loro diritti e sulle procedure dell’ospedale per la loro tutela.
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