Chi convive con una depressione che non risponde ai trattamenti sa quanto possa essere estenuante ripetere tentativi senza ottenere un miglioramento reale. Quando più antidepressivi falliscono, si parla di depressione maggiore resistente ai trattamenti. In questi casi, è importante sapere che esistono opzioni terapeutiche alternative validate dalla ricerca. Una di queste è la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), una tecnica non invasiva che agisce direttamente sull’attività cerebrale.
La depressione maggiore resistente ai trattamenti, in inglese Treatment-Resistant Depression (TRD), è una condizione in cui almeno due antidepressivi, assunti alle dosi corrette e per un periodo sufficiente, non riescono a migliorare in maniera clinicamente significativa l’umore del paziente.
Nonostante i passi in avanti svolti, alcuni pazienti con disturbo depressivo maggiore rientrano in questa definizione, con conseguenze dirette sulla loro qualità della vita, sul rischio di suicidio e sui costi sociali.
In questo scenario la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) rappresenta oggi una delle principali alternative terapeutiche non invasive, con un profilo di sicurezza favorevole e linee guida internazionali che ne raccomandano l’uso precoce (Lei et al., ,2024)
La TMS impiega brevi impulsi magnetici applicati sulla testa tramite una speciale bobina. Il campo magnetico attraversa il cranio senza dolore e genera micro-correnti elettriche nella corteccia cerebrale.
Nel trattamento della depressione resistente il bersaglio più studiato è la corteccia dorsolaterale prefrontale sinistra, regione cruciale nei circuiti che regolano motivazione, decisione e tono dell’umore.
L’obiettivo del trattamento è modulare l’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra, una regione coinvolta nella regolazione dell’umore, con effetti indiretti sulla connettività funzionale con il cingolato subgenuale (area di Broadman 25), considerato un nodo chiave nei circuiti neurali associati alla depressione.
Studi hanno mostrato che una maggiore connettività negativa tra queste due aree è associata a una migliore risposta clinica alla stimolazione magnetica transcranica (Weigand et al., 2017). Quando questa comunicazione torna a funzionare in modo più efficace, si osserva spesso una riduzione dei sintomi depressivi come l’apatia, il senso di colpa e la perdita di energia.
Ogni impulso della TMS genera un rapido cambiamento del campo magnetico, che a sua volta provoca una piccola corrente nei neuroni. Questo stimolo fa sì che i neuroni si attivino e rilascino sostanze chimiche (neurotrasmettitori).
Quando questi impulsi vengono ripetuti in modo programmato – di solito tra 3.000 e 4.000 al giorno nei protocolli standard, il cervello può iniziare a modificare il modo in cui comunica, un po’ come un muscolo che si rinforza con l’esercizio. Questo processo si chiama plasticità sinaptica.
La stimolazione favorisce la produzione di BDNF, una proteina importante per la crescita e la salute dei neuroni, e contribuisce a ristabilire i normali ritmi elettrici cerebrali alterati dalla depressione. Studi clinici dimostrano che questo trattamento può migliorare l’umore in modo significativo, più del semplice effetto placebo (Tao, 2025).
Il primo grande studio controllato sulla TMS nei pazienti che non avevano risposto ad almeno uno o due antidepressivi è stato pubblicato nel 2007 da O’Reardon e colleghi. In quello studio, condotto su 301 partecipanti, la TMS quotidiana a 10 Hz per quattro settimane ha prodotto una risposta clinica nel 22% dei pazienti, contro l’11% del gruppo placebo, senza effetti collaterali gravi (O’Reardon et al., 2007).
Metanalisi successive hanno confermato l’efficacia della TMS: il Number Needed to Treat (NNT) è di circa 6, ovvero per ogni sei pazienti trattati si ottiene una remissione in più rispetto al placebo (Tao et al., 2025).
La TMS è generalmente ben tollerata. Gli effetti indesiderati più comuni sono lievi: una sensazione di ticchettio sul cuoio capelluto, un leggero mal di testa o affaticamento dopo la seduta.
Negli studi controllati il rischio di crisi epilettiche è inferiore allo 0,1 % ed è quasi sempre correlato al mancato rispetto dei parametri di sicurezza.
Nessun trial ha rilevato danni cognitivi a lungo termine, caratteristica che distingue la TMS dall’elettroconvulsivoterapia (O’Reardon, 2007)
Anche negli anziani con depressione involutiva, sopra i 65 anni, la terapia si è dimostrata sicura e altrettanto efficace, con dropout minimi (Bunting, 2024)
Prima di iniziare occorre una valutazione psichiatrica dettagliata: si verificano la diagnosi di depressione maggiore, la storia di farmaci provati, eventuali controindicazioni (ad esempio dispositivi metallici intracranici non compatibili) e la presenza di comorbilità.
Una volta idonei, i pazienti seguono un ciclo di 20-30 sedute a cadenza generalmente quotidiana, dal lunedì al venerdì; ogni sessione dura dai 15 ai 40 minuti a seconda del protocollo scelto.
Dopo la fase acuta, molti centri propongono sedute di mantenimento settimanali o quindicinali per tre-sei mesi. Il recente trial MAINT-R ha confrontato una TMS a bassa frequenza settimanale con il litio: a dodici mesi le ricadute sono state dimezzate nel gruppo TMS (Noda, 2025) In pratica, consolidare il risultato con booster regolari sembra ridurre il rischio di ricaduta.
La risposta breve è no, anche se il clic della bobina può sorprendere durante le prime sedute.
C’è chi teme la “dipendenza” dal trattamento; in realtà la TMS non agisce sui recettori della gratificazione come alcune sostanze psicoattive, e non crea assuefazione.
Nei protocolli classici il miglioramento si osserva fra la seconda e la quarta settimana; nei protocolli accelerati può avvenire in pochi giorni.
La grande maggioranza delle linee guida suggerisce di mantenere la terapia farmacologica in corso, perché la combinazione può aumentare le probabilità di remissione senza effetti collaterali aggiuntivi (Tao, 2025)
Nonostante i successi, circa la metà delle persone non raggiunge la remissione completa. Per questo la ricerca sulla TMS prosegue; gruppi di ricerca stanno sperimentando sistemi di neuronavigazione guidata dalla risonanza funzionale e modelli di intelligenza artificiale che suggeriscono il punto di stimolazione più efficace sulla base della connettività cerebrale di ciascun paziente (Gogulski, 2022)
Allo stesso tempo, studi di dose-response mostrano che superare certi volumi di impulsi non migliora l’esito e può aumentare la fatica (Sun, 2024) di conseguenza, il futuro prossimo parla di protocolli modulati “su misura”, capaci di risparmiare tempo quando possibile ma di intensificare la stimolazione nei quadri più gravi.
La TMS è in continua evoluzione. Strumenti portatili per uso domestico sono in fase di test clinico, con l’idea di offrire “richiami” settimanali in telemedicina.
La combinazione con realtà virtuale, che permette di esporre il paziente a scenari emotivi mentre il cervello è modulato, potrebbe accelerare l’apprendimento di strategie di coping.
Ricercatori australiani stanno sperimentando bobine robotizzate che seguono piccoli spostamenti della testa in tempo reale, mantenendo l’orientamento ideale del campo magnetico e promettendo tassi di remissione ancora più elevati (Cocchi, 2024).
Per chi vive con una depressione maggiore resistente, la Stimolazione Magnetica Transcranica offre oggi una combinazione di efficacia documentata, sicurezza elevata e flessibilità di protocolli che la rendono una terapia potenzialmente funzionale per certe forme di depressione.
Con la sua natura non invasiva e la capacità di personalizzare il trattamento, la TMS sta divendando una opzione da prendere in considerazione, soprattutto quando la qualità della vita è fortemente compromessa.
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