Domenica 19 ottobre la Gazzetta di Parma ha ospitato un’intervista al professor Giuliano Turrini, direttore sanitario dell’Ospedale Maria Luigia, sul tema della depressione resistente e sulle nuove possibilità terapeutiche legate alla stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS). L’articolo ha acceso i riflettori su una condizione che, purtroppo, riguarda molti pazienti e che rappresenta ancora oggi una delle sfide più complesse in psichiatria clinica.
Con il termine “depressione resistente” si indica un disturbo depressivo maggiore che non migliora nonostante almeno due cicli completi di terapia antidepressiva condotti correttamente. Non si tratta quindi di un “semplice fallimento terapeutico”: siamo di fronte a un quadro clinico che può coinvolgere fino a un terzo dei pazienti affetti da depressione maggiore e che comporta conseguenze importanti sia sul piano individuale che sociale.
Chi convive con una depressione resistente spesso sperimenta una riduzione drastica della qualità di vita, difficoltà nel mantenere relazioni affettive e lavorative, un senso di scoraggiamento crescente e, non di rado, una maggiore vulnerabilità a ideazioni suicidarie. A livello collettivo, il peso economico e sociale è altrettanto rilevante: giornate di lavoro perse, aumento del ricorso ai servizi sanitari, maggiore rischio di cronicizzazione.
Negli ultimi anni la ricerca farmacologica ha compiuto notevoli passi avanti, mettendo a disposizione diverse opzioni terapeutiche per la depressione maggiore: nuove molecole, strategie di combinazione, approcci personalizzati che tengono conto della risposta individuale del paziente. Per molti pazienti questi strumenti si sono rivelati efficaci e hanno consentito di ottenere miglioramenti significativi.
Esistono però situazioni in cui trovare la cura giusta diventa più complesso. In alcuni casi, anche dopo due o più cicli di terapia farmacologica condotti correttamente, i sintomi depressivi persistono. È qui che si parla di depressione resistente. In questi scenari, l’integrazione con altri approcci terapeutici, tra cui la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS), diventa fondamentale per ampliare le possibilità di trattamento e offrire nuove prospettive a chi non ha ancora trovato beneficio.
La rTMS è una tecnica non invasiva che utilizza impulsi magnetici mirati a stimolare specifiche aree cerebrali coinvolte nella regolazione dell’umore, in particolare la corteccia prefrontale dorsolaterale. Ogni seduta dura in media 20-30 minuti, si svolge in regime ambulatoriale, non richiede anestesia e consente al paziente di riprendere subito le proprie attività quotidiane.
Gli effetti collaterali più comuni sono lievi e temporanei: un fastidio locale sul cuoio capelluto o un mal di testa passeggero. In mani esperte, la metodica è sicura e ben tollerata.
Le più recenti linee guida internazionali, tra cui quelle canadesi (CANMAT) e le raccomandazioni del NICE britannico, collocano la rTMS tra le opzioni terapeutiche raccomandate per i pazienti con depressione resistente, ossia nei casi in cui due o più trattamenti farmacologici ben condotti non abbiano prodotto i risultati attesi.
Questa posizione si fonda su un crescente numero di studi clinici e metanalisi che hanno documentato la sua efficacia e la buona tollerabilità. In particolare, la rTMS si è dimostrata capace di aumentare i tassi di risposta e di remissione rispetto al placebo, offrendo così un’opportunità terapeutica aggiuntiva in situazioni cliniche complesse.
Un ulteriore punto di forza sottolineato dalle linee guida è la praticità del trattamento: sedute brevi, in regime ambulatoriale, senza anestesia e con un profilo di effetti collaterali generalmente lieve e transitorio.
Il professor Giuliano Turrini ha sottolineato come la depressione resistente rappresenti una sfida particolarmente difficile in psichiatria, con un impatto importante sulla qualità di vita e sui costi sociali. In questo scenario, la rTMS si configura come un’arma terapeutica in più, da affiancare alle terapie già esistenti.
“Non si tratta di sostituire i farmaci, ma di affiancarli quando non hanno dato i risultati sperati, ha spiegato. La letteratura scientifica più recente evidenzia come la rTMS possa migliorare i tassi di remissione dalla depressione, rappresentando un’opzione terapeutica aggiuntiva per quei pazienti che non hanno ancora trovato beneficio dalle terapie tradizionali”.
Concludendo, ha ricordato che “la rTMS non è una panacea, ma uno strumento che, se usato correttamente, può fare la differenza per persone che non stanno trovando risposte soddisfacenti dalle terapie tradizionali. L’obiettivo è offrire loro una possibilità in più, per il miglioramento del quadro clinico e il recupero del proprio benessere quotidiano”.
All’Ospedale Maria Luigia il trattamento con rTMS è già disponibile in regime ambulatoriale, dopo una valutazione psichiatrica preliminare per verificarne l’indicazione ed escludere eventuali controindicazioni. Il percorso può essere inserito all’interno di programmi terapeutici più ampi, che comprendono anche farmacoterapia e psicoterapia, in una logica di presa in carico globale e personalizzata.
Per maggiori informazioni o per richiedere una prima visita, è possibile contattare direttamente il poliambulatorio dell’Ospedale Maria Luigia.
Milev, R., Giacobbe, P., Kennedy, S. H., Blumberger, D. M., Daskalakis, Z. J., Downar, J., Modirrousta, M., Patry, S., Vila-Rodriguez, F., Lam, R. W., & Canadian Network for Mood and Anxiety Treatments (CANMAT). (2016). Canadian Network for Mood and Anxiety Treatments (CANMAT) 2016 Clinical Guidelines for the Management of Adults with Major Depressive Disorder: Section 4. Neurostimulation treatments. Canadian Journal of Psychiatry, 61(9), 561–575. https://doi.org/10.1177/0706743716660033
National Institute for Health and Care Excellence (NICE). (2015). Repetitive transcranial magnetic stimulation for depression (Interventional Procedures Guidance IPG542). NICE. https://www.nice.org.uk/guidance/ipg542
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